Mostre di pittura di Cinzia Beccaceci: “Presenze”

21 Nov

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Con la personale Presenze, la pittrice torna in una rinnovellata forma che non esito a chiamare “maturo periodo chiaro”.

I dipinti si distinguono per una cura lenta e artigianale nella fattura del fondo luminoso e corposo che è luce e materia su cui poggiano delicate o stanno sospese in levitazione le figure, siano esse oggetti, come nella maggior parte dei casi, o evocazioni di umani.

Esiste pure una varietà di temi che non rinnegano mai la forte matrice comune, cioè la sorpresa ingenuità che osserva il mondo, sia quello vicino delle nature morte con gli oggetti comuni, che quello lontano dei temi storici o ecologici.

E’ così che nelle opere di Beccaceci prevale una magica quotidianità, dove la materia pittorica e la luce si fanno odor di pane fresco, dove i colori gioiosi fanno sentire la brezza che fa svolazzare i vestiti appesi ad un improbabile filo del bucato. In questi dipinti le porcellane della nonna hanno il valore delle cose di seconda mano, già usate da chi amiamo e le sedie colorate sono quelle lasciate in disordine dopo una rumorosa e affettuosa riunione di famiglia.

Quella che un tempo chiamai la poetica dell’abito appeso, si riconferma nel 2013 come la nostalgica forma dell’illustre assente; che siano sedie traballanti o pile di piatti in un disequilibrio lasciato dall’umano che era lì un momento prima, questi riportano l’attenzione sull’uomo la cui “presenza”, appunto, pesa proprio in quanto assente.

L’oggetto di uso quotidiano appare appena abbandonato o lasciato sul ripiano in una sospensione temporale che è tutta attesa del ritorno, tutta vuoto da riempire, tutta silenzio da colmare. Per questo nelle opere di Beccaceci non c’è bisogno di tridimensionalità pittorica, perché la terza dimensione è già negli occhi e nel pensiero di chi  guarda, già è tutto nel vissuto familiare che ora si va ad evocare.

La presenza dell’uomo che non c’è a maggior ragione pesa in opere come E’ finito l’ossigeno, dove l’agire umano non è più operoso fare quotidiano, ma danno permanente. La fabbrica è una sega dai denti aguzzi e fatali che taglia gli alberi dalla base e li capovolge in un’azione contro natura in cui gli alberi sono se stessi, ma anche la metafora delle vittime dei veleni delle industrie spietate che tutti conosciamo.

Da tempo l’artista mancava con una sua personale; la sua poetica è rimasta coerente negli anni e insiste, fortificata, nelle opere nuove.

E’ un miracolo che Cinzia Beccaceci sappia dipingere tutti questi temi con la stessa gentilezza appassionata.

Virginia Properzi

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