Italo Calvino scriveva che “ memoria ed oblio sono due entità complementari”, e in effetti se guardiamo le opere scelte per questa mostra, viene da dire che ognuna fa appello alla memoria familiare e allo stesso tempo “al pozzo di oblio “da cui le immagini emergono come spogliate d’ogni determinazione. Seppure tra loro differenti, le storie di queste artiste si incrociano e si sovrappongono, indicando una moltitudine di mondi dove regna la passione conoscitiva per le cose e il gusto divagante per il tempo illimitato. La storia dell’arte è ricca di immagini fotografiche memorabili, ma quelle realizzate da Cristina Armeni confermano il fatto che la scelta di un particolare figurativo o di un taglio compositivo, oltre a testimoniare caratteristiche fisiche o percettive, possono dare il senso di una compiutezza di un vissuto, di accadimenti e di attese, fino a comprendere orizzonti infiniti. E così per le composizioni di Elisabetta Pizzichetti, la quale nel suo garbuglio di tecniche, dall’olio al collage, dal sapone modellato all’oggetto ritrovato, suggerisce una visione del mondo come “sistema di sistemi “ inestricabile e vario. Tanto è controllata e animata l’opera della prima artista, concepita nel rispetto di un’ esigenza primaria, quella di disperdersi nell’infinitamente vasto della realtà per poi ritornare ad un spazio mentale razionale e nella vertigine travolgente del dettaglio, quanto invece, disordinata e misurata quella della seconda, la quale sembra aver scelto come punto di partenza un enunciato mirato, forse un sogno o un’ ossessione, che approda ad una figurazione oscillante tra l’inverosimile e l’antica mitografia. Tutto questo per entrambe, inseguendo un gioco che fa dell’esercizio della tecnica un processo serrato e conosciuto, dove ogni segno diventa specchio di un modo di essere e sentire.
Rosanna Ruscio
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